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Il memoriale di Aldo Moro

 

 

 

Su Emilio Taviani

 

 

Seconda versione dello scritto di Moro sul senatore Paolo Emilio Tavani. vedi

 

Comm. stragi, II 10-17 - 1990

Filtra fin qui la notizia di una smentita opposta dall’On. Taviani alla mia affermazione, del resto incidentale, contenuta nel mio secondo messaggio e cioè che delle mie idee in mate­ria di scambio di prigionieri (nelle circostanze nelle quali ora si tratta) e di modo di disciplinare ai rapimenti avrei fatto parola, rispettivamente; all’on. Taviani ed all’on. Gui (oggi en­trambi senatori).

L’on. Gui ha correttamente confermato; l'on. Taviani ha discutibilmente smentito, senza evidente­mente provare disagio nel contestare la parola di un collega lontano, in condizioni difficili e con scarse e saltuarie comunicazioni.

Perchè poi ha smentito? Non c’é che una spiegazione, per eccesso di zelo cioè, per il rischio di non essere in questa circostanza appropriata per difendere lo stato al proprio e primo posto di responsabilità. Intanto quello che ho detto è vero e posso precisare allo smemorato Taviani (smemorato non solo per questo) che io gliene ho parlato nel corso di una direzione abbastanza agitata tenuta nella sua sede dell’EUR proprio nei giorni nei quali avvenivano i fatti dai quali ho tratto spunto per il mio occasionale riferimento. E non ho aggiunto, perché mi sarebbe parso estremamente indiscreto riferire l’opinione dell’interlocutore (non l’ho fatto nemmeno per l’on. Gui), qual’era l’opinione in proposito che veniva opposta in confronto di quella che, secondo il mio costume facevo pacatamente valere.

Ma perché l’on. Taviani, ... smentire il fatto obbiettivo della mia opinione, non si allarmi nel timore che io voglia presentarlo come se avesse il mio stesso pensiero, mi affretterò [a] dire che Taviani la pensava diversamente da me, come tanti e tanti anche oggi la pensano diversamente da me ed allo stesso modo di Taviani.

Essi, Taviani in testa, sono convinti che sia questo il solo modo per difendere l’autorità ed il potere dello Stato in momenti come questi. Ed io invece ho detto da allora riservatamen­te al ministro ed ho ora ripetuto ed ampliato una valutazione per la quale in fatti come questi, che sono di autentica guerriglia (almeno ... guerriglia) non ci si può comportare co­me ci si comporta con la delinquenza comune, per la quale del resto all’unanimità il Parlamento ha introdotto correttivi che riteneva indifferibili per ragioni di umanità.

Nel [ca]so che ora ci occupa si trattava di immaginare, con opportune garan­zie, di porre il tema di uno scambio di prigionieri politici (terminologia ostica, ma corrispondente alla realtà) con l’effetto di salvare altre vite umane innocenti, di dare umanamente un respiro a dei combattenti anche se sono al di là della barricata, di realizzare un minimo di distensione, perché la tensione si accresca* e lo Stato perda credito e forza, si é sempre im­pegnato in un duello processuale defatigante, pesante per chilo subisce, ma anche non utile alla funzionalità dello Stato.

C’é insomma un complesso di ragioni politiche da apprezzare ed alle quali dar seguito, senza fare all’istante un blocco impermeabile, nel quale non penetrino nemmeno in parte quelle ragioni di umanità e di saggezza, che popoli civilissimi del mondo ... in circostanze dolorosamente analoghe e che li hanno indotti a quel tanto di ragionevole flessibilità.

Ma l’Italia si rifiuta, dimenticando di non essere certo lo Stato più ferreo del mondo attrezzato, materialmente e psicologicamen­te da guidare le fila di paesi come USA, Israele, Germania (non quella però di Lorenz), ben altrimenti attrezzati per ri­fiutare un momento di riflessione e di umanità. L’inopinata uscita del senatore Taviani, ancora a questo momento per me incomprensibile e comunque da me giudicata, nelle condizioni in cui mi trovo, irrispettosa e provocatoria, mi induce a valutare un momento questo personaggio di più che trentenna­le esperienza della D.C.

Nei miei rilievi non c’é niente di per­sonale, tanto più che lo ebbi collaboratore di Governo in un’epoca nella quale per fortuna non si ebbe a lamentare una sola vittima civile (né viceversa) da parte delle forze dell’ordine. Qualche rilievo, espressione di un certo malcostume democristiano che dovrebbe essere corretto nell’avviato rin­novamento del partito, é la rigorosa catalogazione di corrente (fenomeno quest’ultimo in via di contrazione) e l’estrema mutevolezza delle posizioni che si vanno assumendo, collo­candosi variamente all’interno del partito.

Di questa varietà Taviani é stato una vivente dimostrazione, con virate così brusche ed immotivate da lasciare stupefatti. Credo che solo la benevolenza istintiva dell’opinione pubblica e forse un cer­to gusto per quanto di gioco che la pratica significava, abbiano potuto indurre a sopportare questi fatti senza adeguata reazione. Di solida matrice cattolico-democratica Taviani é andato in giro per tutte le correnti, portandovi la sua indub­bia efficienza ed una tal quale spregiudicatezza.

Uscito io dal­le file dorotee dopo il ’68 per assoluta incompatibilità (s’intende, politica), avevo avuto chiaro sentore che il Taviani mi aspettasse a quel passo, per dar vita ad una formazione piùi robusta ed equilibrata, la quale, pur rompendo la soffocante cappa dorotea, potesse essere utile al migliore assetto della D.C.? Attesi invano un appuntamento che mi era stato da­to e poi altri ancora, finché non constatai, in verità senza patemi d’animo, che l’assetto ricercato e conseguito era stato diverso ed opposto.

Erano i tempi nei quali Taviani parlava di un appoggio tutto a destra, di un’intesa con il Movimento Sociale come formula risolutiva della crisi italiana. E noi che, da anni, lo ascoltavamo proporre altre cose, lo guardavamo stupiti, anche perché il partito da tempo aveva bloccato anche la piu modesta forma di intesa da quel partito.

Ma, mosso poi da realismo politico, l’on. Taviani, si convinse che la salvezza non poteva venire invece che da uno spo­stamento verso il partito Comunista, nella quale posizione, per quel che mi risulta, rimase fermo, pur avendo dovuto registrare in proposito qualche incomprensione elettorale. Ma al tempo in cui avvenne l’ultima elezione del Presidente della Repubblica, il terrore del valore contaminante di voti comunisti sulla mia persona (estranea, come sempre alla contesa) indusse lui e qualche altro personaggio del mio Partito ad una sorta di quotidiana lotta all’uomo, in un impegno senza fine di contestazioni, i quali erano fastidiosi per l’aspetto personale che parevano avere, facevano sospettare di chissà quali interferenze ed erano perfettamente inutili, poiché non vi era pronto al combattimento nessun accanito aspirante alla successione tra coloro che si volevano combattere

 


 

 

 

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