Il memoriale di Aldo Moro
XIV tema
Sull'esistenza di una strategia antiguerriglia della Nato
Comm. stragi, II 146-147 - 1990
Fin quando, essendo Ministro degli Esteri, avevo un minimo di conoscenza dell'organizzazione militare alleata, nessuna particolare enfasi era posta sull'attività antiguerriglia che la Nato avrebbe potuto in certe circostanze dispiegare. Ciò non vuol dire che non sia stato previsto un addestramento alla guerriglia da condurre contro eventuali forze avversarie occupanti ed alla controguerriglia a difesa delle forze nazionali. La sensazione di questo tipo di armamento ed impiego leggero si ha già agevolmente nelle riviste (cui assistono anche addetti militari di altri Paesi).
La domanda, cui si risponde, tende a prospettare un'evoluzione della Nato che tenderebbe a volgersi verso una strategia antiguerriglia. Ovviamente ciò sarebbe dovuto venire in evidenza con l'acuirsi del fenomeno. Però, conoscendo un poco i tempi e modi di consultazione, pianificazione, attuazione di eventuali misure militari, si può escludere che un enorme organismo come la Nato abbia potuto mettere a punto in un tempo così limitato efficaci organismi a tale scopo e per giunta eccedenti le finalità dell'alleanza che implica grandi organismi operativi.
Con ciò non si intende escludere che talune cose abbiano potuto cominciare ad essere apprestate in più appropriate sedi. E ciò vedo possibile non nei complicati meccanismi Nato, bensì nella forma di collaborazione intereuropea che può svolgersi in forma libera, semplice, efficace, selettiva. Dico, appunto, collaborazione intergovernativa e non intercomunitaria, pensando alla Svizzera che ha fatto qualcosa, essendo neutrale e perciò fuori della Comunità. Mentre nella Comunità, per la sua forma di neutralità non istituzionale, ha fatto in questo campo qualcosa l'Irlanda. Circa l'ultimo quesito sono convinto che tutto in Europa in campo militare è a guida americana, mentre può immaginarsi una certa presenza tedesca, quasi per delega, nel settore dei Servizi segreti.
Comm. stragi, II 161-164 - 1990
Fin quando, essendo Ministro degli Esteri, avevo una certa conoscenza dell'organizzazione militare alleata, nessuna particolare enfasi era posta sull'attività antiguerriglia che la Nato avrebbe potuto, in certe circostanza, dispiegare. Con ciò non intendo ovviamente dire che non sia stato previsto ed attuato in appositi o normali reparti un addestramento alla guerriglia in una duplice forma: o guerriglia da condurre contro forze avversarie occupanti o controguerriglia contro forze nemiche impegnate come tali sul nostro territorio.
Devo intendere quindi logicamente trattarsi, benché io non ne abbia avuta diretta conoscenza, di diverse modalità d'impiego da quella per grandi a quella per reparti piccoli e mobili. Del resto sensazione di questo tipo di armamento ed impiego leggero si coglie agevolmente anche nelle riviste (cui presenziano addetti militari di tutti i paesi) al presentarsi di piccoli reparti mobili, palesemente in queste limitate esigenze tattiche.
Nelle rare occasioni in cui, in occasione della festa della fanteria ho visitato truppe alla Cecchignola non ho colto raggruppamenti di questo tipo che avessero una certa consistenza. La domanda, cui si risponde, tende a prospettare un'evoluzione della Nato che tenderebbe ad evolversi in una strategia antiguerriglia.
A parte il fatto che se qualcosa del genere avesse dovuto profilarsi, essa non avrebbe potuto che essere venuta in evidenza in modo concomitante con l'acuirsi di fenomeni di scontro diretto o di guerriglia, se così si vuol chiamare. Ora conoscendo un poco i tempi e modi di consultazione, pianificazione, attuazione di eventuali misure militari, si può escludere che un enorme organismo quale la Nato abbia potuto mettere a punto in un tempo così limitato efficaci organismi a tale scopo e per giunta eccedenti le finalità difensive proprie dell'alleanza, le quali poggiano più su grandi meccanismi operativi che non su strumenti di guerriglia in senso stretto.
Con ciò evidentemente non intendo escludere che qualche cosa abbia cominciato ad essere predisposto e magari apprestato su altro e più appropriato terreno. E questo vedo possibile non nei complicati comandi Nato con le loro strutture mastodontiche ed i loro complessi comandi, bensì nella forma di collaborazione intereuropea che può svolgersi in forma libera, semplice ed efficace.
Parlo appositamente di collaborazione intereuropea o, se si vuole, intergovernativa e non in forma intercomunitaria per varie ragioni. Ho l'impressione di aver sentito parlare di questa forma di collaborazione per la Svizzera che è, per la sua neutralità, fuori della comunità, mentre in via eccezionale, benché neutrale, ma non è una neutralità istituzionale, l'Irlanda deve avere attuato una qualche forma di collaborazione sulla base della sua esperienza di guerriglia nell'Irlanda del Nord.
Anche in considerazione di queste isole di neutralità che sono in Europa, ma, pur a prescindere da questo, la collaborazione intergovernativa in ogni campo è preferita per la sua facilità e mobilità, mentre quella che si chiama collaborazione intercomunitaria è molto più impegnativa, segue regole precise, non è selettiva, come invece dev'essere quando si voglia conservare libertà di scelta e facilità di movimento.
Avendo appreso dei viaggi del Ministro in alcuni Paesi (il più significativo mi pare sia stato quello in Germania), ritengo che si sia trattato di un principio di sperimentazione di forma di collaborazione applicata alla guerriglia. Pare perciò esagerato evocare una strategia Nato, ritenendo eccessive sia la parola Nato sia la parola strategia e più proprio invece parlare di collaborazioni selettive di antiguerriglia, realisticamente, allo stato sperimentale.
Ciò non esclude che il fenomeno possa estendersi ed approfondirsi, ma, fin qui, non ve ne sono i segni e non si va al di là di quello che si è detto. L'organizzazione avrebbe dovuto fare passi da gigante in due o tre mesi, ..... (Testo interrotto)