La moto Honda e il motorino
Alessandro Marini è il testimone più famoso del caso Moro. E' contro il suo motorino che i brigatisti a bordo della Honda sparerebbero alcuni colpi di mitra. La sentenza del 1° processo Moro certifica la presenza della moto, i brigatisti, però, continuano a smentire con decisione la presenza di una moto nel commando. Gli accertamenti dell'ultima commissione Moro smentiscono le affermazioni di Marini relative agli spari contro il suo motorino
Un motorino all’incrocio
Il 16 marzo 1978, come tutte le mattine, Alessandro Marini esce di casa poco prima delle nove, sale a bordo del suo motorino e si dirige verso l’ufficio. Non sa che tra pochi momenti assisterà all’azione più cruenta e stupefacente del terrorismo italiano. Un’azione che cambierà per sempre la sua vita.
Arrivato all’incrocio tra Via Fani e Via Stresa, diligentemente si ferma allo stop. Nel momento in cui sta per ripartire si scatena l’inferno. Due auto poste sul lato sinistro di via Fani, a poche decine di metri da lui, sono tempestate da raffiche di mitra esplose da alcuni individui che sono apparsi improvvisamente. La sparatoria dura un tempo interminabile durante il quale Marini resta pietrificato al suo posto.
Quando la sparatoria è finita vede due uomini prelevare a forza un passeggero da una delle due macchine oggetto dell’attacco e caricarlo a forza su un’altra auto.
Velocemente i terroristi si dileguano, tra loro, Marini, vede anche due personaggi a bordo di una moto che esplodono alcuni colpi di mitra nella sua direzione.
La testimonianza di Marini
Marini è il testimone più vicino al luogo dell'azione e chiaramente il suo racconto è della massima importanza nel ricostruire la dinamica dell’agguato. In tutti i verbali della Digos, infatti, il suo nome è sempre citato al primo posto nell’elenco dei testimoni.
Quindi, grazie al suo racconto e a quello degli altri testimoni oculari è possibile ricostruire lo svolgimento dell’azione brigatista.
Il racconto di Marini ha però una particolarità rispetto a quello di tutti gli altri presenti in via Fani: è infatti l’unico a parlare di una moto Honda.
(…) una Honda di grossa cilindrata di colore bleu, a bordo della quale c'erano due individui, dei quali quello seduto sul sedile posteriore, col passamontagna scuro ha esploso vari colpi di mitra nella mia direzione, praticamente ad altezza d’uomo, perdendo proprio nell’incrocio un caricatore che é finito per terra.(…) Non escludo che i due individui a bordo della moto fossero gli stessi sbucati fra le due macchine parcheggiate in via Mario Fani; infatti uno dei due aveva il viso travisato dal passamontagna. Mi é rimasto impresso però il conducente, un individuo sui 20 - 22 anni, molto magro, con il viso lungo e con le guance scavate; infatti mi ha richiamato l'immagine dell'attore Eduardo De Filippo; aveva i capelli scuri di taglio normale. Testimonianza di Alessandro Marini, 17/03/1978, CPM1, vol. 30, pag.45
Nessuno degli altri numerosi testimoni, interrogati il 16 marzo, presenti in via Fani, cita la moto Honda ed i suoi passeggeri. L'unica conferma al racconto di Marini arriva soltanto il 5 Aprile, quando l'agente di pubblica sicurezza Giovanni Intrevado si presenta davanti al magistrato dichiarando di aver assistito all'agguato e di essersi presentato «soltanto adesso perché sono rimasto scioccato da tutto quello che ho visto ed anche perché ero impaurito non essendo potuto intervenire nei fatti poiché la mia pistola si era inceppata»
Intrevado è il solo altro testimone che parla del passaggio della moto Honda:
Mentre io ancora stravolto uscivo dalla macchina e correvo verso le tre macchine ferme, mi sfrecciò vicino una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo. Testimonianza di Giovanni Intrevado, 05/04/1978, CPM1, vol. 41, pag. 414
Lo stesso 5 aprile, il giudice Infelisi, oltre ad Intrevado, risente Alessandro Marini che arricchisce con altri particolari la sua testimonianza:
In quel frangente mi accorsi di una moto Honda blu di grossa cilindrata sulla quale vi erano due individui il primo dei quali con il viso coperto da un passamontagna e quello dietro che teneva un mitra di piccole dimensioni nella mano sinistra sparò nella mia direzione tanto che un proiettile colpi il parabrezza del mio motorino. Testimonianza di Alessandro Marini, 05/04/1978, CPM1, vol. 41, pag. 401
Passano i mesi e le testimonianze di Marini si susseguono non sempre, come vedremo oltre, coerenti tra loro. Si arriva così al processo Moro uno, dove i magistrati, in mancanza di un confronto con le dichiarazione dei brigatisti (è da ricordare che nessuno dei partecipanti all’azione depose in dibattimento), non hanno difficoltà a credere al racconto di Marini, tanto che gli imputati vengo condannati anche per tentato omicidio:
per aver in concorso tra loro e con altre persone da identificare compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di Marini Alessandro esplodendogli contro più colpi di pistola che attingevano il parabrezza del motoveicolo da lui condotto. Atti giudiziari sentenza 1° Corte di Assise di Roma 24/1/1983, Moro uno e bis riunificati, pag.24
La sentenza quindi, basandosi solo sulla testimonianza di Marini, non solo certifica la presenza “attiva” della moto Honda in via Fani, ma afferma anche che dalla moto furono sparati dei colpi di mitra (erroneamente nella sentenza si parla di colpi di pistola) e che questi colpirono il parabrezza del motorino di Marini.
La verità sulla moto Honda sembra accertata in maniera inconfutabile.
La moto Honda diventa un mistero
Quando però, iniziano a parlare i brigatisti qualcosa incomincia a non quadrare. Già dai primi racconti dei pentiti, che hanno raccolto le confidenze dei partecipanti all'azione, della moto non c'è traccia.
Nel 1985 poi, al processo di appello, sia Valerio Morucci che Adriana Faranda, nella loro ricostruzione dell’agguato di via Fani, negano decisamente la presenza della moto.
Nel famoso memoriale Morucci, un intero paragrafo è dedicato alla moto per ribadire che Alessandro Marini si è sbagliato:
Nessuna Honda o altra moto di questo tipo, o di qualsiasi altro tipo, è stata impiegata nell'azione. Il teste Marini si è sicuramente sbagliato. (Nessuna moto è peraltro passata per l'incrocio fino a che non è partita l'ultima macchina, cioè la 128 blu, ultima dopo che già le altre due si erano allontanate. Una motocicletta può anche essere passata successivamente, ma non era delle Brigate rosse e non si capisce il motivo per cui i suoi occupanti avrebbero dovuto sparare al Marini). Memoriale Morucci
E Moretti, nel libro intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, ribadisce:
Può darsi che un testimone, suggestionato dal clamore dell’avvenimento, riferisca in buona fede qualcosa che magari aveva visto mezz’ora dopo oppure il giorno prima. Non lo so proprio. Di sicuro noi non usiamo nessuna Honda e non c’è nessun compagno a fare il cowboy in motocicletta. Mario Moretti. Brigate rosse una storia italiana (Milano, Anabasi, 1994) pag.124
E’ a questo punto che nasce il mistero della moto Honda.
La presenza della moto, certificata da una sentenza ma decisamente negata dai terroristi, diventa la madre di tutti i misteri, il paradigma con il quale la parte complottistica che guarda al caso Moro può affermare che molte sono le cose non dette dai brigatisti.
Il povero Marini, suo malgrado, si ritrova così al centro di una disputa che lo vede, da una parte come prova vivente delle bugie dei terroristi:
Valerio Morucci e Mario Moretti hanno sempre negato che i due motociclisti in sella alla Honda fossero delle Br. Se i due capi brigatisti hanno detto il vero (e c’è da dubitarne), occorre prendere atto che sulla scena dell’attentato, la mattina del 16 marzo in via Fani, non c’erano solo le Brigate rosse: parteciparono all’azione, contribuendo alla sua riuscita, anche altre “entità” rimaste sconosciute. Se invece Moretti e Morucci hanno mentito (e non sarebbe una novità), lo hanno fatto per nascondere l’identità dei due motociclisti, e soprattutto il ruolo che svolsero nel corso dell’operazione. Flamigni Convergenze parallele pag 131
dall’altra, per i brigatisti, è invece è il classico esempio di come affidandosi alle affermazioni di testimoni oculari sottoposti a forti emozioni, si possano creare presunti misteri del tutto inesistenti. Valerio Morucci, in merito, arriva ad affermare:
I testimoni oculari sono assolutamente inattendibili; ho detto più volte che l'ingegner Marini andava arrestato per falsa testimonianza. CPI "stragi", Audizione 22 del 18/06/1997
Ma allora la fantomatica moto Honda è transitata in via Fani ed i suoi occupanti hanno partecipato in modo attivo all'azione?
Stranamente pur essendo uno dei punti più importanti e controversi dell’azione di via Fani, sulla presenza “attiva” della moto, per tanti anni, si è indagato ben poco.
La parte “dietrologica” dell’opinione pubblica, dando per scontato il ruolo della moto, si è concentrata su l'identità dei due passeggeri. Coloro che invece si basano su un’analisi puntuale delle prove, hanno accettato forse troppo supinamente quanto affermato nella sentenza del Moro Uno. Questa idea è ben descritta, da Vladimiro Satta nella prefazione del libro di Armeni, “Questi fantasmi”.
Armeni, [...] ha avuto la capacità di accorgersi di come un po' tutti - me compreso, lo ammetto - finora abbiano preso per buona l'idea che i due motociclisti fecero fuoco contro il teste, per il semplice motivo che ciò è stabilito da una sentenza. Dopo tutto, pensando all'enormità costituita dall'eccidio dei cinque componenti della scorta di Moro e del sequestro dell'uomo politico, sembrava trascurabile soffermarsi a verificare se davvero i proiettili dei terroristi avessero sforacchiato il parabrezza dello scooter di un passante oppure no. Vladimiro Satta in Gianremo Armeni, Questi fantasmi, Tra le righe libri, Lucca 2015, prefazione pag. 15
Negli ultimi anni invece, attraverso, prima, il citato libro di Gianremo Armeni Questi fantasmi. Il primo mistero del caso Moro”, e successivamente a seguito delle risultanze delle indagini svolte dalla nuova commissione di inchiesta parlamentare sul caso Moro, si è tornati ad esaminare le deposizioni di Alessandro Marini riguardo la “ormai mitica moto Honda” . Ed i risultati sono stati a dir poco sorprendenti
Quanti testimoni vedono la moto Honda?
Secondo quanto ricostruito da Armeni, nel citato Questi Fantasmi", sono ben 21 le persone che assistono, almeno in parte, all’attacco brigatista in Via Fani. Come detto, solo due: Marini ed Intravedo notano l’Honda. Quindi nelle deposizioni di ben 19 testimoni, del passaggio della moto non c’è traccia.
In molte pubblicazioni, si è cercato di aumentare il numero di testimoni che vedono la moto, inserendo oltre che Marini ed Intravedo, un terzo teste, Luca Moschini:
Verso lo ore 9,05 di oggi, percorrevo Via Stresa proveniente da Via della Camiìluccia a bordo della mia autovettura Fiat 500 giunto allo stop fra Via Stresa e Via Mario Fani, notavo di fronte al bar Olivetti angolo Via Stresa due avieri con il cappotto ed il berretto in capo che erano fermi sul marciapiede con accanto una moto Giapponese di colore bordò metallizzato mi sembra che sia una Honda o 125 oppure 350, Testimonianza di Luca Moschini, 17/03/1978, CPM1, vol. 30, pag. 7
Come è facile notare la testimonianza di Moschini si riferisce ad un contesto totalmente diverso rispetto al momento dell’agguato. Il teste infatti transita in via Fani ben prima dell’attacco brigatista tanto che nella sua deposizione non c’è nessuna descrizione dell’agguato. Inoltre, particolare non irrilevante, la moto è di colore “bordò” e non blu come sostiene Marini. Pertanto la sua deposizione è assolutamente irrilevante riguardo la presenza della Honda in Via Fani nel momento dell'agguato. Si può ribadire, pertanto che ha vedere la moto in azione sono solo Marini ed Intravedo.
La reazione davanti ad un episodio così violento che, bisogna ricordare, lascia cinque uomini crivellati di colpi in un lago di sangue, sono gli stessi testi a dircelo. Marini afferma “io ero accucciato sul motorino. Mi feci anche la pipi addosso” Intrevado non solo dichiara “Mentre io ancora stravolto uscivo dalla macchina….” ma rimane talmente scioccato da fuggire da via Fani.
Da notare che Intrevado nei 19 giorni che passano tra il 16 marzo ed il 5 aprile, giorno del suo primo interrogatorio, avrà più volte letto della presenza della moto Honda nel commando e del mitra in mano ai terroristi, ed è possibile che queste informazioni abbiano influenzato i suoi ricordi.
Due sole testimonianze, rese da persone stravolte che bisogna notare, a parte la presenza della moto Honda, sono sostanzialmente differenti. Per Marini il mitra è ben in vista tanto che esplode alcuni colpi nella sua direzione. Per Intravado il mitra è invece nascosto, infatti lui vede solo che “dall’ascella del trasportato fuoriusciva un caricatore di mitra”
L'attendibilità del teste Marini
Contraddizioni sono presenti anche nelle molteplici dichiarazioni di Marini. Come abbiamo visto, il teste dichiara che uno dei due passeggeri a bordo della moto Honda indossa un passamontagna mentre l’altro ha un’accentuata rassomiglianza con “Eduardo de Filippo.
Nel corso del 1978 Marini viene ascoltato in diverse occasioni ed ogni volta cambia versione: (1) .
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il 16 Marzo “Eduardo” è al posto di guida, l’uomo con il passamontagna è dietro.
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il 5 Aprile, “Eduardo” è passato dietro, chi guida la moto è l’uomo con il passamontagna.
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il 5 giugno “Eduardo” torna davanti,
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il 29 settembre ripassa sul sedile posteriore.
Ma c’è anche un altro elemento che rende “particolare” la deposizione del Marini. All’angolo tra via Stresa e via Fani, secondo diversi testimoni, c’è una donna (Barbara Balzerani) che imbraccia un fucile ed intima più volte alle persone di allontanarsi. Questa brigatista è nella parte bassa dell’incrocio, a pochi metri dallo stop, e quindi vicinissima a Marini.
Ebbene nella deposizione di Marini di lei non c’è traccia. In compenso, riesce a seguire perfettamente ciò che succede ad oltre 20 metri di distanza da lui, malgrado la sua visuale sia impedita dai quattro uomini del commando impegnati a sparare sull'auto di Moro.
Nel contempo dalla terza macchina é disceso dalla parte posteriore destra un individuo giovane, con in mano una pistola. Credo che si accingeva a sparare o comunque ad agire ma improvvisamente é stato freddato dai colpi di mitra esplosi da altri due individui che sono sbucati fra due autovetture parcheggiate circa 10 -15 metri oltre i quattro individui, dal lato opposto a quello dove si trovavano le tre autovetture Testimonianza di Alessandro Marini, 17/03/1978, CPM1, vol. 30, pag.45
Decisamente singolare che un testimone ignori un terrorista armato di mitra a pochi metri da lui che, in teoria, dovrebbe rappresentare il pericolo maggiore, per concentrare la propria attenzione su un’azione che si svolge nella parte alta di via Fani quindi assolutamente indifferente per la sua incolumità.
Il punto di vista di Marini secondo la ricostruzione della polizia scientifica. Il riquadro relativo alla posizione di Barbara Balzerani, da noi aggiunto, non è presente nel disegno originale della Polizia scientifica in quanto la terrorista non è citata dal teste. Marini, quindi non vede la Balzerani, che è a pochi metri, ma riesce a seguire l'azione dei due brigatisti che sono posizionati all'altezza delle macchine rossa e verde che si intravedono sullo sfondo
La nuova perizia balistica
Come più volte citato, la nuova commissione Moro ha richiesto alla polizia scientifica una nuova indagine tecnica sulle traiettorie dei colpi sparati nell’agguato di via Fani.
Chiaramente non poteva mancare un accenno alla moto Honda. Nella relazione infatti non c’è traccia dei colpi sparati dal suo occupante. Durante l’audizione della seconda commissione Moro, il Dott. Boffi, della polizia scientifica rispondendo alle domande dei commissari ha affermato:
Se posso rispondere, chiaramente noi abbiamo messo tutto ciò di cui abbiamo evidenza. La moto può essere passata, ma non ha lasciato per noi tracce evidenti. Per noi, per la ricostruzione della dinamica, è impossibile posizionare questa motocicletta. Rispetto alle traiettorie che abbiamo determinato non c’è alcuna traiettoria che potrebbe essere compatibile con dei colpi esplosi veicolo in movimento rispetto alle posizioni che abbiamo già identificato.
e ancora:
Se la moto, come sembra, anzi come è, si muoveva in direzione di via Stresa venendo da via del Forte Trionfale, l'espulsione dei bossoli a destra li avrebbe dovuti mandare verso le autovetture ferme, se dalla moto avessero sparato in direzione di Marini. In realtà, abbiamo visto come i bossoli sono distribuiti. Appartengono a queste sei armi. Innanzitutto, se un'arma è stata utilizzata sulla moto, doveva essere una di queste sei, perché non ci sono bossoli estranei e comunque la distribuzione di questi bossoli è compatibile con queste posizioni.
Quindi si può concludere che il nuovo studio della polizia scientifica afferma che in via Fani non è stato trovato nessun bossolo compatibile con la posizione della Moto e non è stata individuata nessuna traiettoria di eventuali colpi esplosi dalla Honda in direzione del Marini.
Il parabrezza ed i colpi di mitra
Se le deposizioni di Marini vacillano, se non c’è alcuna prova scientifica dei colpi esplosi, a dimostrare la presenza della moto in via Fani, e soprattutto a provare che dei colpi sono stati sparati dai suoi occupanti nei confronti di Marini, ci sarebbe però una prova tangibile: il parabrezza del motorino fatto a pezzi dai colpi di mitra.
Seguiamo un attimo la storia del parabrezza. Nella prima testimonianza Marini non lo cita affatto si limita infatti ad affermare che il passeggero dell’Honda “col passamontagna scuro ha esploso vari colpi di mitra nella mia direzione, praticamente ad altezza d’uomo” Solo nella deposizione del 5 Aprile Marini precisa che l’uomo “sparò nella mia direzione tanto che un proiettile colpi il parabrezza del mio motorino”
La versione di Marini, come detto, viene fatta propria prima dalle forze dell’ordine e poi dai giudici che lo ribadiscono nella sentenza di primo grado.
Da quel momento ad ogni negazione brigatista c’è la risposta “...è allora chi ha colpito il parabrezza di Marini?”
Conferme in merito sono venute, successivamente, anche da fonti istituzionali. Nel 1994 nella relazione sugli sviluppi sul caso Moro della Commissione parlamentare “Stragi” l’onorevole Granelli scrive:
Tanto più che la perizia ha anche stabilito un'ulteriore circostanza, sempre negata da Morucci e da altri brigatisti pentiti: il parabrezza del motorino di Alessandro Marini, [...] è risultato effettivamente infranto da un proiettile. In G. Armeni, Questi fantasmi, op.cit., pag 133
Nel 2008, perfino il giudice Ferdinando Imposimato, uno dei magistrati più famosi del caso Moro, che insieme al collega Rosario Priore raccolse le dichiarazioni di Adriana Faranda e Valerio Morucci, nel suo libro “Doveva morire” dichiara di non avere dubbi sulla presenza dei colpi di mitra sul parabrezza di Marini:
Ero e sono certo della presenza di altri due brigatisti in moto, […] Il teste Marini è affidabile e i buchi dei proiettili sul parabrezza del suo motorino erano visibilissimi. F. Imposimato, S. Provvisionato, Doveva Morire, Chiarelettere Milano 2008 pag. 57.
La presenza dei colpi di mitra sul parabrezza sembrerebbe quindi, un fatto accertato definitivamente. Ebbene non è così, anche questa ultima certezza sembra destinata ad essere smentita.
Riguardo, infatti, l’affermazione dell'Onorevole Granelli relativa ad una perizia effettuata sul parabrezza del motorino di Marini, Gianremo Armeni nel suo libro “Questi fantasmi”, dopo una ricerca capillare, afferma che nessuna perizia del caso Moro parla del parabrezza di Marini e che quindi esso non è stato mai analizzato.
Ma la scoperta più interessante, non si sa quanto voluta (2), l’ha fatta la seconda commissione sul caso Moro.
La commissione infatti, alla ricerca di nuovi elementi per trovare “verità alternative”, è venuta in possesso di una foto scattata in via Fani la mattina dell’agguato in cui è presente un motorino blu con il parabrezza su cui è posto trasversalmente un nastro adesivo da pacchi. In tale motorino si è identificato quello del Marini.
La foto in cui compare il motorino che lo stesso Marini riconosce come il suo. E' evidente che il parabrezza non presenta colpi di arma da fuoco e risulti completo
La commissione ha quindi sottoposto la foto a Marini:
Marini, osservando le fotografie, ha riconosciuto senza esitare il proprio motoveicolo e ha affermato che sicuramente lo scotch era stato applicato da lui prima del 16 marzo 1978, come aveva già affermato in occasione di dichiarazioni rese il 17 maggio 1994 dinanzi al pubblico ministero Antonio Marini. Alessandro Marini ha aggiunto di ricordare che il 16 marzo, di ritorno dalla Questura dove era stato portato per rendere dichiarazioni, nel riprendere il motociclo si era accorto che mancava il pezzo superiore del parabrezza che era tenuto dallo scotch e di aver perciò ritenuto che fosse stato colpito da proiettili: “Per il fatto che quel giorno l’ho trovato senza un pezzo di parabrezza, io ho ritenuto che fosse stato colpito dalla raffica esplosa nella mia direzione dalla moto che seguiva l’auto dove era stato caricato l’onorevole Moro. Non ho ricordo della frantumazione del parabrezza durante la raffica; evidentemente quando poi ho ripreso il motorino e poiché mancava un pezzo di parabrezza ho collegato tale circostanza al ricordo della raffica. Tali considerazioni le faccio solo ora e non le ho fatte in passato perché non avevo mai avuto modo di vedere le immagini fotografiche mostratemi oggi, da cui si nota che il parabrezza appare nella sua completezza, seppur con lo scotch.
A questo punto cade un altro pilastro della dichiarazione di Marini nessun proiettile ha colpito il suo motorino e il parabrezza non è andato in frantumi.
Un testimone fantasioso
La dichiarazione di Marini spiega anche perché nella testimonianza del 17 marzo non c’è traccia dei colpi sul parabrezza che appaiono solo il 5 aprile dopo che ha avuto modo di vedere il parabrezza senza un pezzo.
Sappiamo ora, per sua stessa ammissione, che Marini è un teste che non si limita a riferire quanto visto ma rielabora (seppur inconsciamente) la realtà secondo le evidenze osservate successivamente.
A confermare questa tendenza esiste anche un'altra circostanza. Marini afferma che un caricatore è caduto dalla moto in corsa. Effettivamente in via Fani è stato ritrovato a terra un caricatore, ma è stato accertato che, detto caricatore, appartiene all’M12 di uno dei quattro componenti al gruppo di fuoco, Raffaele Fiore, che ha confermato la circostanza.
Anche in questo caso, probabilmente Marini, rielabora la visione successiva del caricatore sull’asfalto di Via Fani, e lo fa cadere dalla moto in corsa. (3)
Al termine di questa lunga disquisizione, si può affermare che molti sono i dubbi sulla partecipazione attiva di una moto Honda all’azione di via Fani. In mancanza di altri riscontri le sole affermazioni di un testimone che si è rivelato del tutto particolare non bastano ad avvalorare una circostanza. sempre smentita dai partecipanti all’agguato.
Note:
(1) L'analisi puntuale delle testimonianze di Marini è fatta da Gianremo Armeni nel suo libro Questi Fantasmi, op. cit, alle pagine 114 e sgg.