La parola ai brigatisti
Dopo anni di silenzio, nel 1985, i protagonisti dell'azione di via Fani iniziano a parlare. Sono Adriana Faranda e Valerio Morucci a raccontare per primi la vicenda Moro, prima in tribunale, e poi nel famoso memoriale. Seguono, nel tempo, i contributi degli altri componenti del commando da Moretti a Balzerani, da Fiore a Gallinari e Bonisoli.
La
confessione di Valerio Morucci e Adriana Faranda
Alla fine
del 1982, grazie al
contributo dei pentiti, confrontati con i racconti dei testimoni la
dinamica dell'agguato di Via Fani è ormai delineata. I pentiti, però,
non parlano per esperienza diretta, nessuno di loro era presente in
Via Fani. i racconti, si riferiscono a confidenze fatte dai componenti
del commando, i quali, tutti, continuano a mantenere un rigoroso
silenzio sull'argomento.
A rompere
il muro dell'omertà
sono Adriana Faranda e Valerio Morucci che nel Luglio del 1984 consegnano al giudice
Ferdinando Imposimato un documento in cui annunciano la loro
dissociazione dalla lotta armata:
Sono
finiti i
giorni dell’ira in cui è prevalsa la rozzezza della logica di guerra, e
non è forse possibile andare oltre senza rimuovere dubbi e risolvere i
quesiti che possono ancora originare ipotesi contrastanti. Senza che
dall’interno giunga una chiarificazione, una spiegazione approfondita
resa più obiettiva dagli anni trascorsi e dal travaglio che ha segnato
questo tempo. Questa responsabilità è nostra e il nostro vuole essere
un percorso di chiarezza e di rifiuto di una scorciatoia giudiziaria. Documento
di dissociazione dalla lotta armata firmato da Valerio Morucci, Adriana
Faranda ed altri brigatisti detenuti. Luglio 1984
Morucci e
Faranda ad oltre
cinque anni dal loro arresto accettano di collaborare con la giustizia
ricostruendo, a loro modo, le fasi che avevano portato le Brigate Rosse
al rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Le condizioni, però sono ben
precise: «chiamare in causa i militanti dell’organizzazione non sarebbe
stato in linea con i nostri valori di dignità» pertanto, nomi non ne
fanno.
Durante il
processo di appello
per la strage di Via Fani, nel gennaio 1985, Adriana Faranda e Valerio
Morucci raccontano la loro verità. La prima a prendere la parola è
Adriana Faranda che ricostruisce tutta la fase preparatoria
dell’azione. La Faranda conferma, come gia aveva detto Peci, di non
aver partecipato all’attacco e di aver saputo della riuscita
dell’agguato dalla radio della polizia. Dopo aver ribadito che i
componenti del commando erano nove, alla domanda se ci sono brigatisti
che parteciparono all’azione di Via Fani e che non sono nel processo
afferma: <«si!... un paio. I loro nomi sono noti alla polizia
perchè
coinvolti in altri processi.»
Il 24
gennaio 1985, a quasi
sette anni da quel tragico giovedi, un componente il commando
brigatista parla,in un’aula di tribunale, dell’azione di Via Fani. In
una drammatica seduta, con la voce rotta dall’emozione, Valerio Morucci
racconta:
L’organizzazione
era pronta per il sedici mattina, uno dei giorni in cui l’on. Moro
sarebbe potuto passare per Via Fani.
Non
c’era certezza, avrebbe potuto anche fare un’altra strada. Era stato
verificato che passava di li alcuni giorni, ma non era stato verificato
che passasse sempre. Non c’era stata una verifica da mesi.
Quindi
il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in Via Fani per
compiere l’azione sperando dal punto di vista operativo, ovviamente,
che passasse di li quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare
il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse
ritenuto che la presenza di tutte quelle persone su quel luogo per più
giorni avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme.
La
macchina con targa del corpo diplomatico si mise in seconda fila mentre
l’altra rimase dov’era. Appena visto arrivare il 130 blu di Moro da via
trionfale, il 128 è partito ad andatura abbastanza sostenuta per
evitare di farsi sorpassare, perché le due macchine andavano abbastanza
veloci... passò davanti al bar Olivetti e freno bruscamente davanti
allo stop.
A quel
punto il 130 tampono il 128, l’Alfetta di scorta tamponò il 130. Il 128
bianco con a bordo altre due persone si pose dietro per chiudere
l’accesso ad altre macchine; la persona che doveva occupare l’incrocio
l’occupo e noi quattro che eravamo dietro le siepi del bar uscimmo per
sparare... per sparare sulla scorta.
Due
erano incaricati di sparare sull’Alfetta della scorta e gli altri
due di sparare sull’autista e sull’altra persona che occupava il posto
a fianco nel 130. Io ero tra questi due e quindi sparai contro il 130.
Nel frattempo l’autista del 130 cerco disperatamente di guadagnare un
varco verso Via Stresa più volte fece marcia indietro e marcia avanti
mentre era in corso la sparatoria.
Il
Maresciallo Leonardi, invece per prima cosa si occupo di proteggere
Moro e si giro per farlo abbassare. Infatti è stato trovato morto in
quella posizione.
Lo
stesso accadde per Jozzino che uscì dalla macchina, questo non l’ho
visto, lo desumo dai fatti, per esplodere un paio di colpi con la sua
pistola. interrogatorio di Valerio
Morucci. Processo di appello per l'uccisione di Aldo Moro. Udienza del
24/01/1985
Un altro
importante tassello
si va ad aggiungere alla ricerca della verità, ma non facendo i nomi
dei brigatisti presenti in Via Fani, la confusione è tanta. Per
esempio, Giorgio Bocca, nel suo libro “Noi terroristi” uscito pochi
mesi dopo la deposizione di Morucci, si avventura in un elenco di nomi
decisamente impreciso:
Il
silenzio
sui nomi è una pura formalità. Morucci ha ammesso di avere sparato,
Moretti guidava la macchina tamponata, Piancone fu udito, nella
eccitazione, dare ordini in francese, si sa che erano del gruppo
Gallinarì, Dura, Fiore, Seghetti e siamo a sette, gli ultimi due stanno
probabilmente fra questi nomi: Azzolini, Bonisoli, Micaletto, la
Balzarani. Giorgio Bocca, Noi
Terroristi, (Milano, Garzanti, 1985) pag.209
Il
memoriale Morucci
Nel 1990,
attraverso un
memoriale fatto pervenire alle autorità giudiziaria Morucci e Faranda
ricostruisco nei particolari l'azione di Via Fani, inserendo, questa
volta, i nomi ed i ruoli avuti dai brigatisti nell'agguato.
Appena
la Fiat
130 blu con Moro, seguita dall'Alfetta, ha imboccato via Fani
proveniente da via Trionfale, la Fiat 128 bianca targata CD condotta
dal bierre uno (Moretti), si è immessa nella carreggiata e si è diretta
verso l'incrocio via Fani-via Stresa.
Lo
stesso bierre numero uno (Moretti), dopo aver bloccato la 128 poco
prima dello stop, facendosi tamponare dalla Fiat 130 seguita
dall'Alfetta, è rimasto per qualche tempo quasi fino alla fine della
sparatoria sulla stessa auto che si è spostata in avanti a causa dei
ripetuti tamponamenti da parte dell'autista del 130, che cercava di
guadagnare un passaggio sulla destra, verso via Stresa.
La
presenza casuale di una
Mini Minor in via Fani, proprio all'altezza dell'incrocio con via
Stresa, può aver in parte contribuito ad impedire la manovra di
svincolo della 130.
Dopo il
tamponamento della
Fiat 128 targata CD da parte della 130 di Moro - a sua volta tamponata
dall'Alfetta di scorta - si è posta dietro questa, trasversalmente
rispetto alla strada, la 128 bianca con i bierre numero due e tre
(Loiacono e Casimirri), che avevano il compito di bloccare il traffico
da via Fani e rispondere entrambi ad eventuali attacchi delle forze di
polizia.
Nel
frattempo il bierre numero
quattro (Balzerani) disceso dalla Fiat 128 blu, parcheggiata dall'altro
lato dell'incrocio, si è portato al centro dell'incrocio di via Fani
con via Stresa per bloccare il traffico proveniente dalle diverse
direzioni.
Io e i
bierre sette, otto e nove (dal basso Fiore, Gallinari e Bonisoli),
portatici sulla strada, abbiamo sparato contro gli uomini della scorta
di Moro, in modo da evitare che venisse colpito Aldo Moro.
Io
ed il bierre sette (Fiore) abbiamo sparato contro gli uomini a bordo
della 130.I bierre otto e nove (Bonisoli e Gallinari) hanno sparato
contro i tre uomini che erano sull'Alfetta di scorta.
Nell'azione
si sono inceppate diverse armi tra cui lo Fna 43 in mio possesso e
l'M12 in possesso di uno degli altri tre uomini (Fiore, che sparava
anch'egli sulla 130). In conseguenza dell'inceppamento della mia arma,
per non intralciare gli altri, mi sono portato verso via Stresa e ho
impiegato del tempo per disinceppare l'arma.
Nel
frattempo, il bierre uno
(Moretti) invece di portarsi al centro dell'incrocio, come previsto dal
piano di attacco, per appoggiare la Balzerani nella difesa
dell'incrocio, si è portato accanto alla 130 di Moro e insieme al
bierre sette e otto (Fiore e Gallinari) ha prelevato l'ostaggio e lo ha
caricato sul sedile posteriore della Fiat 132, che nel frattempo,
facendo retromarcia da via Stresa a via Fani, si era affiancata alla
Fiat 130 di Moro.
Dopodiché,
lo stesso bierre
uno (Moretti) è salito accanto all'autista (bierre numero cinque
Seghetti), mentre sul sedile posteriore ha preso posto accanto a Moro
il bierre sette (Fiore).
Caricato
Moro, che fu coperto con un plaid, la Fiat 132 ha preso verso via
Stresa in direzione di via Trionfale; i bierre due e tre (Loiacono e
Casimirri), risaliti sul 128 bianco, che aveva sbarrato via Fani dietro
l'Alfetta della scorta, hanno raccolto il bierre otto (Gallinari) e si
sono accodati alla Fiat 132, su cui Moro veniva portato via.
Il
bierre nove (Bonisoli) è
salito sul 128 blu - che era rimasto fermo nella parte inferiore di via
Fani con il muso rivolto verso l'incrocio con via Stresa - e ha preso
posto di fianco al posto di guida. Sul sedile posteriore era nel
frattempo risalito il bierre quattro (Balzerani). Valerio Morucci: Memoriale
Parla
Mario Moretti: il capo delle BR
Nel 1994,
in un libro intervista Mario Moretti, la mente del sequestro Moro,
racconta la sua versione dei fatti.
L'azione
è
partita. Il momento critico è quello iniziale: una nostra macchina (la
128 targata Corpo Diplomatico) deve andare a mettersi davanti al
piccolo convoglio composto dalla 130 con dentro Moro, l'autista e il
maresciallo, e dall'Alfetta con gli altri tre.
Bisogna
avvistare in tempo le
due macchine, che vanno veloci per motivi di sicurezza e cogliere il
momento esatto in cui rallentano per girare a sinistra di via del Forte
Trionfale in via Fani.
È un
attimo, la nostra
macchina deve essere in movimento e mettersi con naturalezza davanti a
loro. Se non li agganciamo lì non li riprendiamo più. Guai se la
manovra riesce male o se succede qualcosa, anche piccola, che attiri
l'attenzione degli agenti di scorta. Su quella macchina non ci vuole
uno che guidi come un pilota di Formula Uno, ma che abbia esperienza e
nervi saldi. Tocca a me.
Ma
occorre che un compagno mi
segnali che il convoglio sta arrivando con qualche attimo di anticipo
prima che svolti per via Fani... La ragazza, appunto. Deve fare solo
questo, poi salire su una Vespa e andarsene. È giovane, carina, non ha
che da star ferma all'incrocio con un mazzo di fiori in mano.
I
poliziotti non sono degli
sprovveduti, ma una donna con dei fiori in mano è nel ruolo, non da
nell'occhio. Come un operaio che mangia un panino su un muretto, con le
gambe penzoloni: ci può stare anche un'ora, non si meraviglia nessuno.
Eravamo abili nell'osservare queste cose.
La
ragazza fa il segnale, esco
al momento giusto e mi metto davanti alle due macchine di Moro,
regolando l'andatura: abbastanza piano perché le macchine che ci
precedono si allontanino un poco, in modo da non venire coinvolte nella
sparatoria, ma anche abbastanza veloce perché il convoglio di Moro non
mi sorpassi. Funziona. Nessuno si accorge di niente. Tutto va
tranquillamente.»
L'adrenalina
è a mille, il
cuore è impazzito, ma non ho il tempo di sentire emozioni, il tempo
delle incertezze, dei dubbi, è prima e dopo un'azione, mai durante.
Quando ci sei dentro l'unico problema è come fare nel modo migliore
quel che si è deciso. A me è capitato sempre di essere lucido,
concentrato, non mi è sfuggito mai nulla, il tempo si dilata, ogni
secondo è un'eternità. Credo che in genere sia così per tutti.
Procedo,
sorpasso una
Cinquecento che va troppo a rilento e le macchine di Moro mi vengono
dietro. L'ideale è che tutte e tre le macchine si fermino allo stop
dove sono appostati i quattro compagni che dovranno neutralizzare la
scorta, altrimenti dovranno risalire via Fani e la scorta potrebbe
notarli.
Mi fermo
dunque allo stop, un
po' di traverso per occupare la parte maggiore di strada ma senza che
sembri strano, normalmente, senza stridore di gomme. (Non ti sei fatto
tamponare dalla 130 di Moro? Si è sempre detto questo.) No. Un
tamponamento li avrebbe messi in allarme e invece devo dare tempo ai
compagni di avvicinarsi. Moro e la scorta sono vulnerabili, lo ripeto,
in quanto non notino nulla. E non notano nulla perché fino a un secondo
prima della sparatoria non c'è niente da notare.
I
quattro compagni aprono il
fuoco. Allo stesso momento i due che devono bloccare il traffico in
alto lo bloccano. Barbara è già in mezzo all’incrocio a due metri dallo
stop di Via Fani e ha fermato il traffico che risale via Stresa,
verremo a sapere che la prima macchina ad essere fermata, vedi le
coincidenze, è quella di un poliziotto, che non capisce nulla e,
infatti, non fa nulla.
Per
prima cosa i quattro
compagni colpiscono l’Alfetta della scorta, poi con una raffica il
maresciallo Leonardi che è nella macchina con Moro.
L’autista
dell’Alfetta,
colpito, lascia andare la frizione, la macchina fa’ un salto avanti e
tampona la 130 di Moro che ha sua volta tampona la mia.
Avevamo
previsto di abbandonare la 128 sul posto, e io sarei sceso a per andare
a rafforzare la posizione di Barbara.
Ma a
questo punto succede l’imprevisto si bloccano sia i mitra di Morucci,
sia quello di Bonisoli.
Uno dei
poliziotti
dell’Alfetta riesce a scendere dalla macchina impugna una pistola,
Bonisoli lascia andare il mitra, tira fuori la pistola sua spara e lo
colpisce. Credo che nemmeno lui sappia come ha fatto a sparare con
tanta precisione, certo se non ci fosse riuscito in Via Fani avremmo
lasciato anche qualcuno dei nostri.
E io son
costretto a rimanere
in macchina con il freno premuto perché l’autista di Moro, che non è
stato colpito, cerca di togliere la 130 dall’incastro formato per il
doppio tamponamento, in quegli attimi Morucci sostituisce il caricatore
al suo mitra inceppato, spara una seconda raffica e riesce a colpirlo.
Pochi
secondi e la sparatoria è finita, la scorta neutralizzata. Quella scena
non la scorderemo più. Mario
Moretti. Brigate rosse una storia italiana (Milano, Anabasi, 1994) pag.126
I
racconti degli altri partecipanti all'agguato
Nell'udienza
del 2 Dicembre 1994, al processo Moro quater, Barbara Balzerani,
conferma la presenza di un decimo brigatista:
Balzerani:
a iniziare dal basso, dall'incrocio con via Stresa in mezzo
all'incrocio c'ero io, e, nella prosecuzione
della strada c'era un'altra persona in macchina che era la macchina che
doveva,
facendo
marcia indietro, prendere l'on. Moro... era un uomo. Poi c'era un'altra
persona a bordo della macchina che ha bloccato il convoglio... un altro
uomo. Poi c'erano quattro persone che sono intervenute sugli agenti,
quattro uomini, due sul 130 e due sull'Alfetta. Poi, c'erano altre due
persone che chiudevano la strada in cima. Facevano da cancelletto.
Presidente:
cancelletto superiore?
Balzerani:
sì... e copertura.
Presidente:
uomini o donne?
Balzerani:
due uomini. La decima persona aveva una funzione di staffetta, avvisò
dell'arrivo delle due macchine e se ne andò subito dopo immediatamente.
Presidente:
uomo o donna?
Balzerani:
una donna.
Presidente:
due donne. È così?
Balzerani:
sì.
Presidente:
diciamo che erano otto uomini e due donne?
Balzerani:
sì» Interrogatorio di Barbara
Balzerani. Processo Moro Quater. Udienza del 2/12/1994
A
completare il quadro,
arrivano, anche le confessioni di altri due componenti del cosiddetto
gruppo di fuoco: Prospero Gallinari e Raffaele Fiore.
Ora è
l'attesa, quella di un movimento, di un mazzo di fiori in fondo alla
via che segnali l'arrivo di una macchina seguita da altre. In quei
momenti la testa è troppo impegnata, fissata sulla sequenzadei
movimenti, perché possa essere attraversata da valutazioni, da pensieri
di ogni genere. I fiori si muovono, ci mettiamo in posizione di scatto,
la strada è libera, vediamo sullo sfondo le macchine e cominciamo a
uscire».
È un
attimo,
un tempo non valutabile, e partono le raffiche. Quello che temevo
accade: a metà della raffica il mitra si inceppa, estraggo
istintivamente la pistola che porto alla cintura continuando a sparare
come se non fosse cambiato nulla.» Prospero
Gallinari, Un contadino nella metropoli (Milano, Bompiani, 2006) pag.184
«Ricordo che
premetti il grilletto e il mio mitra, un M12, che avrebbe dovuto essere
il migliore, si inceppò subito. Io avevo il compito di sparare
sull'autista. L'auto dietro, venendo colpiti gli agenti della scorta,
tamponò la vettura di Moro. Domenico Ricci, che non era stato ancora
colpito, cercò di liberarsi. Tentò di fare tre o quattro manovre,
avanti e indietro, a sinistra e a destra. Lo ricordo bene perché fu una
scena drammatica. Moro si era abbassato sul sedile posteriore. Io tolsi
il caricatore del mitra, ne misi un altro, ma non funzionò egualmente.
Valerio riuscì di nuovo a sparare e a colpire Ricci e l'auto si fermò
completamente. Fu una frazione di secondo, io ero tutto teso a condurre
in porto l'obiettivo. Mi rimase l'immagine del Ricci che cercava in
tutti i modi di uscire e che, invece, pochi secondi dopo fu colpito e
si accasciò sul volante. Vedere questa persona morire mi lasciò
esterrefatto» Raffaele Fiore,
L'ultimo brigatista, (Milano, Rizzoli, 2007) pag.121