I racconti dei pentiti
Le confessioni dei pentiti permettono un ulteriore passo avanti nell'individuazione dei brigatisti presenti in Via Fani. Le lunghe deposizioni di Patrizio Peci, Antonio Savasta ed Emilia Libera, nel corso del primo processo Moro, contribuiscono a fare chiarezza sull'organizzazione delle Br.
Patrizio Peci: il primo pentito delle BR
La ricostruzione fatta sulla
base dei rilevamenti e delle testimonianze permettono una ricostruzione
accurata dello svolgimento dell'azione. Sconosciuti restano invece i
nomi dei brigatisti presenti all'agguato. I riconoscimenti fatti sulla
base delle foto segnaletiche, hanno individuato brigatisti come, Morucci, Gallinari e Bonisoli,riconoscibilissimo, quest'ultimo, dal colore dei capelli “rosso vivo”. Ma nel primo processo Moro, tra i componenti del commando ci sono anche Azzolini e Corrado Alunni che non erano in via Fani, anzi, come si appurerà
in seguito, Alunni è uscito dalle BR prima del 16 Marzo 1978.
Per iniziare a conoscere,
con una certa attendibilità, i nomi ed i ruoli dei componenti del
commando bisogna attendere la primavera del 1980, quando, Patrizio
Peci, capocolonna delle BR a Torino, decide, primo nella storia
dell’organizzazione, di collaborare con la giustizia.
Davanti al giudice Giancarlo Caselli, accorso nel carcere di Cuneo, Peci inizia ad alzare il velo sull’azione di Via Fani:
«Dell’operazione
Moro posso dire chi vi ha partecipato avendolo saputo dopo la
perpetrazione di essa. Da Torino partecipò il Fiore che era armato con
l’M12. Da Milano Bonisoli ed Azzolini. Dei romani parteciparono il
Moretti, Morucci e Gallinari. Non so altro di preciso, ma nello stesso
tempo non posso escludere la presenza d’altre persone ancora. Per
esempio persone provenienti da Genova. E’ probabile che poi all’azione
abbia partecipato la donna di Morucci, cioè la Faranda che però non mi
sembra abbia fatto, parte del gruppo d’assalto. Fu il Moretti ha
dirigere l’assalto sia da un punto di vista militare che politico. Il
Moretti era armato con il Mab. Queste notizie le appresi, in termini
confidenziali, successivamente dal Fiore che aveva preso parte
all’azione». Patrizio Peci, Verbale interrogatorio, 1 aprile 1980, CPM1, vol. LXIV, pag.219
La
testimonianza di Peci, la prima in assoluto, pur nella sua sommarietà,
da già un quadro abbastanza preciso dello svolgimento dei fatti.
Il processo Moro
Mercoledi 14 aprile 1982, a Roma, ha inizio il processo per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta.
La corte, presieduta dal presidente Severino Santiapichi è chiamata a
giudicare sessantatre imputati. Un dibattimento lungo e denso di
incognite, con centinaia di testimoni, ad oltre quattro anni di
distanza dai fatti, tenta di far chiarezza su uno dei momenti più
difficili della nostra Repubblica.
Nell’aula
bunker del Foro italico, costruita per l’occasione, siedono i
protagonisti della lotta armata. Divisi in più gabbie, si scambiano
accuse ed insulti La “potenza geometrica” delle Brigate Rosse è un
ricordo lontano. Proprio con il rapimento e l’uccisione dello statista
democristiano è iniziato il declino dell’organizzazione che ormai si
dibatte agonizzante. Gli irriducibili tra cui spiccano Moretti,
Bonisoli, Azzolini, Fiore continuano nel loro atteggiamento sprezzante
nei confronti della giustizia borghese e degli "infami". In un’altra
gabbia, ci sono i pentiti: Peci, Savasta, la Libera, Ave Maria
Petricola e gli altri della colonna romana. Morucci e Faranda siedono a
parte, la loro è una posizione intermedia: non stanno tra gli
irriducibili ma non sono neanche disposti a collaborare con la
giustizia.
Patrizio
Peci, cui pochi mesi prima le Br hanno ucciso il fratello, nella sua
deposizione conferma quanto detto al giudice Caselli e aggiunge al
proprio racconto nuovi particolari:
«Circa
un mese e mezzo prima Bonisoli e Fiore si andarono ad addestrare in una
grotta di Saluzzo. ... Fiore con la sua arma cioè l’M12 che poi ha
usato...Bonisoli venne con uno Zerbino un mitra molto particolare, se
ne trovano pochi in giro...Fiore andava continuamente a Roma. Partiva,
si assentava dicendo: devo andare a Roma perché devo fare questa grossa
azione...Quindici giorni prima tornò a Torino con un vestito blu e
nella colonna chiese ad Angela Maj di cucire delle mostrine su questo
vestito...Fu fatto il sequestro e l’uccisione della scorta e alle
cinque di sera era già a Torino. Prese il primo treno e arrivo a
Torino...
Disse
che era andato tutto bene; uno era rimasto un po’ ferito ad un braccio,
uno di noi. Cominciò a raccontare che un mitra si era inceppato dopo un
colpo o due. Era il suo mitra; lui faceva parte proprio del nucleo
d’assalto alla scorta. Disse: come ho sparato dopo due o tre colpi mi
si è inceppato. Lui stava un po’ giù per il fatto di non essere
riuscito a proseguire nell’azione, nel senso che era rimasto interdetto
quando il mitra non funzionava più...
Andando
avanti nei giorni cominciò a dire che l’azione l’aveva diretta il
vecchio e guardando un Mab disse questo mitra l’ha usato Moretti mentre
dirigeva l’azione. Però, disse, non ha tirato neanche un colpo. Nel
senso che era Moretti la persona che urlava. Poi venne fuori che c’era
la macchina davanti e lui disse che in questa macchina c’erano Morucci
e Gallinari. Erano loro che erano scesi ed avevano sparato alle due
persone che erano sulla macchina dove c’era l’Onorevole Moro...Poi mi
disse che aveva partecipato pure Azzolini.» Interrogatorio Patrizio Peci, C.d.A. Roma -Processo Moro, in CPM1 vol LXXVI, pag. 279.
La confessione di Antonio Savasta
Il
protagonista del processo è, però, Antonio Savasta. Elemento della
colonna romana delle BR, al momento del rapimento Moro, è soltanto un
irregolare non ancora passato alla clandestinità. A
lui è affidata la famosa Renault rossa utilizzata per la riconsegna del
corpo di Moro. Entrato nel comitato esecutivo delle Br nel 1980
partecipa agli omicidi del colonnello Varisco e dell’ingegnere
Taliercio. Arrestato il 28 gennaio 1982 a Padova, durante l’azione che
porta alla liberazione del generale americano Dozier, decide subito di
collaborare con la giustizia. Al processo, rispondendo alla corte con
calma e precisione per oltre trenta ore, fornisce per la prima volta un
quadro esauriente sulla struttura dell’organizzazione Brigate Rosse.
Per quanto riguarda l’azione
di Via Fani, Savasta, conferma la versione di Peci ed aggiunge nuovi
nomi e particolar. Nell’udienza del maggio 1982 così risponde alle
domande del presidente Santiapichi:
SAVASTA:
I nomi che uscirono fuori, uscirono fuori dopo che Peci aveva parlato,
dicendo che erano dei compagni che molto probabilmente si erano
lasciati sfuggire questi nomi, cioè chi realmente aveva partecipato in
Via Fani. Perciò rispetto ai nomi che ha fatto Peci è stato detto
soltanto che erano quelli i componenti dell’azione di Via Fani.
PRESIDENTE: cioè?
SAVASTA:
Bonisoli, Azzolini, Fiore, Morucci, Faranda, Moretti, poi ho saputo che
Seghetti faceva da autista e che c’era anche Barbara Balzarani.
PRESIDENTE:
Siamo ad otto. Qualcuno dice che fossero nove. Ci sono delle voci nelle
carte processuali che dicono che fossero nove.
SAVASTA: Io li ho semplicemente risaputi non ci si è discusso sopra.
PRESIDENTE: L’informazione su questo gruppo che ebbe ad eseguire la strage di Via Fani chi l’ha data?
SAVASTA:
La discussione che è seguita alle rivelazioni che ha fatto Peci quando
era stato preso. Erano i compagni, tipo Seghetti, che sapevano chi
c’era in quella situazione, tipo Barbara Balzarani, che disse che
purtroppo qualche compagno si era lasciato sfuggire dei nomi (...)
PRESIDENTE: Qualcuno illustrò come era avvenuta questa azione dalla vostra angolazione?
SAVASTA:
C’era stato un tipico modello operativo, anche in quella situazione,
cioè c’era stato quello che noi chiamavamo “il cancelletto”, cioè la
chiusura di una strada con una macchina con l’intervento dei nuclei che
si erano divisi i compiti, nonché l’uccisione degli agenti della
scorta. Dopo di che ci furono i vari cambi di macchina.
PRESIDENTE: Vediamo il cosiddetto cancelletto da chi fu operato praticamente.
SAVASTA: Non lo so.
PRESIDENTE: Cioè, l’attribuzione individuale dei singoli comportamenti alle varie persone lei non è in condizione di dircela.
SAVASTA:
No, assolutamente perché dal punto di vista operativo è soltanto
specificato... Viene assunto come norma generale e ogni volta non viene
rispiegata l’azione. Interrogatorio di Antoniuo Savasta C.d.A. Roma -Processo Moro, in CPM1 vol LXXiV.
Quanto
affermato da Savasta è confermato, durante il dibattimento, dagli altri
pentiti appartenenti alla colonna romana: Emilia Libera, Massimo
Cianfanalli e Carlo Brogi.
Fenzi: era Moretti alla guida del 128
Un ulteriore chiarimento sullo
svolgimento dell’azione lo fornisce Enrico Fenzi, forse l’unico
intellettuale che ha partecipato all’avventura delle Brigate Rosse.
Professore di letteratura italiana all’università di Genova, da sempre
militante nell’estrema sinistra, entra in contatto con la colonna
genovese delle Brigate Rosse nel 1977. Metà simpatizzante meta
irregolare svolge alcuni azioni di poco conto. Arrestato il 17 maggio
1979 a seguito delle ammissioni di Franco Berardi, l’irregolare delle
Brigate Rosse fatto arrestare da Guido Rossa e che si suiciderà in
cella dopo l’uccisione dell’operaio dell’Italsider, Fenzi finisce in
cella, a Palmi, con lo stato maggiore delle Brigate Rosse: Curcio,
Franceschini e Bertolazzi. Scarcerato il 3 giugno del 1980 per
insufficenza di prove, passa subito alla clandestinità. Con il
prestigio, derivatogli dalla frequentazione dei capi storici
brigatisti, acquista all’interno dell’organizzazione un ruolo
importante. Arrestato insieme a Moretti il 4 Aprile del 1981 in Via
Cavalcanti a Milano, Fenzi ha sempre mostrato una grande ammirazione
per il capo brigatista.
Nella sua deposizione davanti
alla corte Fenzi, ormai dissociato, rivela una confessione fattagli in
carcere da Moretti riguardo Via Fani:
«Nel
gennaio del 1982 abbiamo avuto a Milano il processo d’appello per le
pistole che avevamo addosso al momento dell’arresto. Io venivo da Cuneo
e Moretti da Nuoro. Nei tre giorni insieme in modo occasionale non
parlando del sequesto Moro (il pretesto è stato semplicemente un
discorso sulle rispettive abilità nella guida delle auto e io dicevo
che non so guidare) Moretti mi disse che era un abilissimo guidatore.
Se ne è proprio vantato e sull’onda di questo discorso un unica
ammisione gli è sfuggita “Immagina chi era colui che guidava
l’automobile che in Via Fani ha bloccato le due macchine, quella di
Moro e quella della scorta? Sono stato io!”» Interrogatorio di Enrico Fenzi,-C.d.A. Roma -Processo Moro, in CPM1 vol LXXIX
Ormai l'azione inzia a deliniarsi nei particolari, ed incomincia a chiarirsi anche il ruolo dei singoli partecipanti. Ma manca ancora la conferma definitiva: quella dei partecipanti all'azione.