La commissione parlamentare
indirizza le sue
ricerche su due aspetti: la chiusura del bar il giorno della
strage
e la figura di Tullio Olivetti titolare dell’esercizio
Il bar è posto sul lato sinistro
di via Fani
all’angolo con via Stresa. Il gruppo di fuoco delle br che, la mattina
del 16 marzo, annienta la scorta di Aldo Moro è posizionato proprio
davanti le sue serrande abbassate.
Per 37 anni, sulla chiusura del
bar, non ci
sono stati dubbi, la chiusura dell’esercizio e data come scontata fin
dai primi momenti, e basta sfogliare i giornali dell’epoca per trovarla
in evidenza:
Negli stessi verbali della
Questura appare più volte il particolare della chiusura del bar.
Ma quello che nell’immediatezza
dei fatti è
una certezza, con il passare degli anni, complice l’affievolimento
della memoria, può cambiare
Il fatto
che il bar Olivetti risulti chiuso è uno degli elementi chiave che
indirizza i br nella scelta di via Fani. La chiusura dell’esercizio è
per i terroristi un colpo di fortuna
Non c’è dubbio, infatti, che un
locale in
attività, con il suo continuo flusso di gente, avrebbe reso impossibile
l’attacco delle br secondo le modalità accertate. Quindi, appurare che
il bar era in funzione il giorno della strage, non solo smentirebbe le
affermazioni dei terroristi, ma aprirebbe nuovi e suggestivi scenari
sull’intera vicenda Moro.
La commissione Moro, sempre
sensibile alla
ricerca di “verità alternative” seguendo alcuni rumors si è molto
impegnata nella ricerca di nuove testimonianze che confermassero la
tesi dell’apertura.
Malgrado l’impegno profuso dalla
commissione,
le nuove testimonianze che indicano l’apertura del bar sono poche e
contradittorie.
La più
circostanziata è quella del giornalista televisivo Diego Cimara sentito
dalla commissione Moro il 22 luglio 2015 come scritto nella prima
relazione della commissione afferma:
Avendo necessità di
effettuare una telefonata in redazione, si era accorto che il bar
Olivetti era aperto. Nel farvi ingresso ha incrociato il proprio
collaboratore Alessandro Bianchi che, dopo avere consumato un caffè,
stava uscendo. Cimara ha descritto con estrema precisione alcune delle
persone che quella mattina aveva notato all’interno del bar:
segnatamente due addetti al servizio, uno alla cassa ed uno al bancone,
i suoi colleghi Monteforte de Il Messaggero e De Persis dell’agenzia ANSA
e tre persone dai tratti somatici del Nord Europa, che – tenuto conto
delle uniformi dell’aeronautica da essi indossate e di alcune parole
pronunciate da uno di loro – potevano provenire da un’area geografica
di lingua tedesca. Il giornalista ha, altresì, aggiunto che all’interno
del bar si trovavano molti esponenti delle forze dell’ordine o comunque
degli apparati di sicurezza che, ad un certo punto, avevano abbassato
la saracinesca esterna del locale invitandolo risolutamente ad uscire.
CPM2, 1° Relazione
sull’attività svolta, 10/12/2015, pag. 117
Nella stessa audizione Cimara
parla anche di un rullino fotografico:
[Cimara] fu
avvicinato da
un giovane, forse di nazionalità slava, che gli consegnò un rullino da
conservare e da restituirgli il giorno successivo. Preso il rullino, lo
portò nel pomeriggio a Duccio Guidotti, responsabile del TG1 per la
realizzazione tecnica dei video, con l’intesa di realizzarne una copia
in formato elettronico e di ritirarlo il giorno successivo. Il mattino
seguente, tuttavia, egli apprese che vi era stato un furto nel
laboratorio di Guidotti, che la copia elettronica era stata sottratta e
che non si poteva più essere certi che il rullino rimasto fosse
effettivamente quello consegnato il giorno prima. In ogni caso, Cimara
riprese il rullino e, trovando il bar Olivetti chiuso, lo consegnò ad
una signora per la restituzione al giovane incontrato il giorno prima.
Solo anni dopo Guidotti – che è deceduto – gli disse che in quelle foto
si ritraevano scene dell’agguato di via Fani in cui erano visibili i
terroristi che vi avevano preso parte. Cimara ha, inoltre, riferito di
aver casualmente incontrato tre anni fa il giovane che gli consegnò il
rullino, il quale si sarebbe lamentato per il fatto che quest’ultimo
non gli era mai stato restituito.
Ibid. pag. 114
Questo secondo racconto in
particolare lascia
non poco perplessi, e pone dei seri interrogativi sull’affidabilità del
Cimara. Perché uno sconosciuto avrebbe dovuto consegnare il rullino a
Cimara? Che senso aveva chiedere la restituzione il giorno successivo?
Perché la restituzione doveva avvenire proprio in via Fani? Perché
Cimara avrebbe affidato il rullino ad una donna non meglio identificata
e questa come poteva riconsegnarlo ad uno sconosciuto.
A confermare i dubbi
sull’attendibilità c’è
una lettera, inviata dallo stesso Cimara alla commissione,
successivamente all’audizione, in cui afferma “che il tempo
trascorso e ragioni di salute non lo rendono sicuro delle circostanze
riferite”.
Anche Francesco Pannofino, mai
ascoltato prima, racconta in commissione, il 22 luglio 2015, la sua
versione dei fatti
[Pannofino] nel 1978
abitava con la famiglia in via Fani, 161, e il 16 marzo, mentre si
recava come di consueto all’Università, aveva notato il bar con la
saracinesca abbassata. Dato che, secondo i suoi ricordi, in quel
periodo il bar Olivetti era in piena attività, Pannofino – che del bar
era abituale cliente – ha attribuito la chiusura a riposo settimanale. Ibid., pag 116
Infine viene recuperata dagli
atti la testimonianza di Paolo Vitale rilasciata ai tempi della strage
[Vitale] dopo
l’eccidio
aveva riferito che qualche tempo addietro, comunque prima del 16 marzo
1978, passeggiando con il suo cane in via Mario Fani, davanti al bar
Olivetti, aveva notato all’interno una debole luce che si era spenta al
suo avvicinarsi. Dopo tale dichiarazione fu fatta un’ispezione del bar
– le chiavi erano custodite dal portiere dello stabile – senza,
tuttavia, rilevare anomalie. Ibid.
Alla commissione poco importa che
le tre
testimonianze siano una diversa dall’altra. Per Vitale il bar è chiuso
da tempo, per Pannofino il bar è in piena attività ma chiuso il giorno
della strage, per Cimara, che, tra l’altro, non conferma la propria
testimonianza, il bar è aperto il 16 marzo. Sottigliezze!!! Tanto che
nella prima relazione sullo stato dei lavori può affermare.
L’apertura al
pubblico del
bar dopo la strage pone seri interrogativi sulla dinamica dell’agguato,
per come è stata sempre ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni
degli stessi brigatisti, i quali hanno asserito di aver atteso l’arrivo
delle auto al servizio di Aldo Moro nascosti dietro le fioriere
prospicienti il bar.
Ibid., pag. 117
Stupefacente! Prendendo tre
dichiarazioni,
palesemente in contrasto tra loro, ed infischiandosene delle
innumerevoli testimonianze e riscontri contrari, la commissione afferma
l’apertura del bar e ribadisce che a mentire sono sempre e solo i
brigatisti.
Contrordine: il bar
era chiuso
Forse ha suggerire l’idea alla
commissione è il PM Giancarlo Armati, che nell’audizione del 28
settembre 2016 afferma:
GIANCARLO ARMATI. Perché
è chiave? Perché, se il bar fosse stato aperto, allora io ci vedrei un
possibile coinvolgimento di Olivetti, che non è del tutto da escludere,
perché, secondo me, il bar era aperto. Non mi venite a raccontare che
12 persone, con tutte le armi che si portavano appresso, si vanno a
nascondere – e nessuno se ne accorge – dietro le fioriere. Io la
ritengo una cosa veramente campata in aria.
PAOLO BOLOGNESI.
Secondo lei, allora, erano dentro?
GIANCARLO ARMATI. È
possibile che fossero dentro il bar. È possibile che il bar fosse
aperto. Giancarlo
Armati, CPM2, Seduta del 28/09/2016, pag 7
E’ doveroso notare che quanto
afferma il
giudice Armati è un convincimento del tutto personale, in quanto Armati
non si è mai occupato professionalmente delle inchieste sul caso Moro.
Considerare il bar Olivetti una
base dove si
nascondono i brigatisti prima dell’agguato è una suggestione troppo
grande per essere lasciata cadere. E chiaro che in questa ipotesi il
bar deve risultare chiuso al normale esercizio e utilizzato solo come
nascondiglio dai brigatisti.
E quindi, se nella prima
relazione, scritta
prima dell'audizione di Armati, si afferma che dalle testimonianze si
evince che il bar è aperto, dodici mesi dopo, nella seconda relazione
sullo stato dei lavori la musica cambia completamente.
Le numerose
escussioni
svolte, talvolta dagli esiti contraddittori, le indagini e l’esame di
filmati e foto dell’epoca, non hanno consentito di individuare elementi
documentali certi in ordine all’effettiva apertura o chiusura del bar
quella mattina. CPM2,
2° Relazione sull’attività svolta, 21/12/2016, pag 137
Improvvisamente la commissione
rileva le
contraddizioni delle escussioni e non è più sicura dell’apertura del
bar. Eppure tutte le testimonianze sono precedenti alla prima relazione
e non risultano altri accertamenti in merito tra la prima e la seconda
relazione.
Il “ravvedimento” della
commissione è propedeutico però ad una nuova affermazione.
Tuttavia, alla luce
delle
nuove acquisizioni, proprio le incertezze che si evidenziano nelle
testimonianze potrebbero, come si vedrà, essere lette in una luce
diversa, ovvero in relazione a una accessibilità del locale a diversi
soggetti, indipendentemente dal fatto che l’esercizio avesse interrotto
la sua attività. Ibid.
Quindi le stesse testimonianze
che avevano
fatto affermare che il bar era aperto, un anno dopo, potrebbero essere
la prova, senza nessun altro riscontro, che il bar non solo era chiuso
al pubblico ma addirittura fu un nascondiglio dei brigatisti.
Come abbiamo visto non c’è, non
diciamo una
prova, ma nemmeno un indizio, su un’eventuale presenza dei terroristi
all’interno del bar Olivetti e allora cosa è che spinge la commissione
ad una ipotesi così temeraria?
Le dichiarazioni di
Luigi Guardigli
Sempre nella seconda relazione
della
commissione sul caso Moro riguardo a Tullio Olivetti titolare del bar
all’angolo di via Fani si legge.
Si è infatti
accertato che
Olivetti, indicato in documentazione di polizia e dei Servizi come
partecipe di una rete di interessi criminali legati al traffico
internazionale di armi, fu precocemente «rimosso» dall’indagine sul
traffico di armi Ibid.
Ancora una volta ci pare corretto
separare i fatti dalle opinioni.
Bisogna infatti dire che, quando
la commissione afferma “Olivetti fu
precocemente «rimosso» dall’indagine sul traffico di armi”
esprime solo la propria opinione.
Dalle opinioni passiamo ai fatti
e ricostruiamo l’inchiesta che vede coinvolto Tullio Olivetti.
La vicenda è del gennaio 1977
quando vengono
avviate dai carabinieri indagini sul conto di Luigi Guardigli
relativamente a presunti contatti con il clan calabrese dei De
Stefano. Nello stesso periodo Guardigli rivela al maresciallo Gueli, dei
servizi di sicurezza, una serie di informazioni su Tullio Olivetti.
Secondo Guardigli, Olivetti, in
contatto con
un gruppo libanese, gli avrebbe richiesto armi e gli avrebbe introdotto
un suo amico, offertosi di pagare la fornitura con dollari falsi o
cocaina. Olivetti era anche un trafficante di valuta falsa e aveva
riciclato 8 milioni di marchi tedeschi, provento di un sequestro
avvenuto in Germania. Era in contatto con ambienti della criminalità
organizzata tanto che in una circostanza, nella villa di una persona
presentatagli proprio da Tullio Olivetti, Guardigli aveva trovato ad
attenderlo il mafioso Frank Coppola, che gli aveva chiesto di dare
seguito ad una richiesta di armi fattagli da tale Vinicio Avegnano,
anch’egli indicato come amico di Olivetti.
Nel maggio del 1977, Guardigli,
su ordinanza
del pubblico ministero Armati viene arrestato insieme, ad altre 14
persone, per associazione a delinquere e detenzione illegale di armi.
La notizia dell'arresto della
"banda dei trafficanti d'armi" grazie alle rivelazioni di Luigi
Guardigli. La Stampa 15/5/1977
Olivetti rimane ai margini
dell’inchiesta, i
riscontri a suo carico sono ben pochi, la conoscenza con Guardigli,
appurata da alcune intercettazioni telefoniche in cui si rilevano
normali rapporti d’affari, la conferma da parte di un altro imputato
Aldo Pascucci della conoscenza tra Olivetti e Guardigli. Olivetti viene
anche convocato in questura per un interrogatorio ma risulta
irreperibile. Non verrà più disposto nessun interrogatorio.
Nel mese di Giugno, a seguito
degli arresti
disposti del pubblico ministero Armati, l’inchiesta viene formalizzata
ed il procedimento viene affidato al giudice istruttore Ettore Torri.
Si procede quindi agli
interrogatori degli imputati. Davanti ai giudici, Guardigli ritratta
tutto:
tutto quanto ho
raccontato
al maresciallo Gueli è praticamente inventato e cioè tutto quello che
riguarda la mafia e il traffico di armi »
Confronto di
Guardigli con Spadaro e Patané, 22/6/1997, Ibid., pag. 141
Io
da tempo nutrivo il profondo desiderio di entrare a far parte dei
servizi di controspionaggio in quanto sono molto appassionato tale
genere di attività [...] il maresciallo Giuseppe Gueli [...] mi disse
che faceva parte del Servizio di Sicurezza della Polizia[...] mi
propose di lavorare esclusivamente per lui [...] sarei stato
ricompensato con un mensile fisso più il rimborso spese [...] avendo
capito che gli premeva sapere cose inerenti covi e attività di
extraparlamentari, mafia e deposito armi, cominciai a raccontargli
fatti da me del tutto inventati o ingranditi. Pensavo che quella fosse
l’unica occasione che mi si presentava per entrare nei servizi di
spionaggio e perciò non volevo perderla. Interrogatorio Guardigli 13
luglio 1997, Ibid.
Torri, visto il risultato degli
interrogatori,
si forma un’idea diversa di Armati. Secondo lui, Guardigli, è un
mitomane che si è inventato tutto. Il giudice istruttore richiede,
quindi, una perizia psichiatrica ai periti Semerari e Ferracuti i quali
descrivono il Guardigli:
una personalità
mitomane,
con una condizione psicopatica di vecchia data, e, allo stato,
permanente. I suoi atti e le sue dichiarazioni sono espressioni
sintomatologiche di tale anomalia Ibid.
La vicenda si ridimensiona anche
perché la perizia tecnica effettuata sulle pistole trovate in casa di
Guardigli afferma:
pistole giocattolo
[che
secondo la] valutazione effettuata dal punto di vista tecnico (...) la
trasformazione delle pistole giocattolo in armi vere e proprie – nel
che si condensava l’accusa – è risultata si possibile, ma non sulla
base dei metodi impiegati dall’imputato, né tantomeno con l’utilizzo
del munizionamento eletto; le trasformazioni attuate al Guardigli sono
definite grossolane e tali da non aver in nulla trasformato l’arma
giocattolo. Ibid.
Nel 1985 il procedimento si
chiuderà con l’assoluzione per tutti gli imputati.
Torniamo per un attimo al ruolo
di Olivetti nella vicenda. La commissione Moro nella sua relazione
afferma perentoria.
colpisce la
«scomparsa»
nella vicenda processuale di Tullio Olivetti, che era stato coinvolto
in maniera così pesante da Guardigli. CPM2, 1° Relazione , cit. ,
pag. 121
Considerando, quindi come prova
del coinvolgimento di Olivetti unicamente le affermazioni di Guardigli
ritenute credibili.
Risulta pertanto importante
approfondire la personalità del Guardigli.
Come abbiamo visto, la perizia di
Ferracuti e Semerari definisce senza ombra di dubbio Guardigli un
mitomane.
Sulla veridicità della perizia
sono stati
espressi non pochi dubbi, ed effettivamente la storia personale dei due
periti, il primo iscritto alla P2, ed il secondo decapitato dalla
camorra, può far nascere più di una perplessità. (1)
Il giudizio su Guardigli, però è
unanime:
chiunque entri in contatto, con lui non può fare a meno di rilevare la
sua “particolare” personalità.
Lo stesso PM Armati, che si batte
contro la
richiesta del collega Torri di una perizia psichiatrica, così parla del
Guardigli:
Guardigli, sì, era un
po’
strano, diceva qualche cosa in più di quanto realmente sapesse, però
tra
le cose strane qualche cosa... [vera c’era] Giancarlo Armati, CPM2,
seduta del 28/09/2016, Pag. 8
e poco dopo aggiunge:
(…). È vero che era
uno che diceva di tutto e di più, quindi.... Ibid, pag 9
La stessa commissione di
inchiesta che procede
all’escussione del Guardigli in data 7 giugno 2016 non può fare a meno
di rilevare che:
Da ultimo, Guardigli,
dopo
aver riferito episodi rocamboleschi, che hanno evidenziato una
personalità certamente esuberante, ha raccontato di sue attività in
favore dei palestinesi che, a suo dire, sarebbero state dettate da
ragioni ideologiche. CPM2,
2° relazione.., cit. pag. 143
Quale credibilità può avere un
teste che
dichiara più volte davanti ai giudici di essersi inventato tutto,
giudicato da una perizia psichiatrica “mitomane”, che lo stesso PM
contrario alla perizia definisce “era uno che diceva di tutto
e di più” e che perfino la commissione parlamentare che
propende per credergli non può far a meno di definire “personalità
esuberante” “che riferito episodi rocamboleschi”
Tullio Olivetti uomo dei servizi?
Parlando più in generale dei
riscontri a
carico di Olivetti sono eloquenti le dichiarazioni dello stesso
pubblico ministero del indagine Giancarlo Armati:
Non mi ricordo, però,
questo Olivetti. Mi ricordo Guardigli. (…) Si vede che la
rappresentazione da parte di Cornacchia di Olivetti era tale che non mi
consentiva di inquisirlo in modo energico Giancarlo Armati, CPM2 1°
relazione, cit., Pag. 5-6
E’ abbastanza singolare che
quegli stessi
atti, quasi irrilevanti per il PM che li ha prodotti, tanto da non
ricordarsi quasi il nome di Olivetti, diventino per la commissione
parlamentare prove così schiaccianti da considerare, un mancato maggior
coinvolgimento nell’inchiesta di Olivetti segno di una copertura da
parte degli apparati dello stato.
La diversità può essere spiegata
solo tenendo conto delle diverse prospettive con cui viene esaminata la
figura di Olivetti.
Ciò lo spiega perfettamente,
Armati, nella sua audizione
Capisco che questo
Olivetti sia una figura molto importante. Lì per lì, io non mi resi
conto dell’importanza, anche perché eravamo nel...1977. Ibid.
pag 6
e poco dopo, chiarendo ancor
meglio il concetto
Non mi ricordo di
averlo
visto e che ci fosse una particolare attenzione su di lui. Poi, col
senno del poi, dopo il sequestro Moro, diavolo! L’avessi saputo prima,
non mi sarebbe sfuggito. Ibid.
pag 7
Siamo alle solite, nel 1977,
Olivetti è un
normale cittadino e non si capisce perché, sulla sua persona, in
mancanza di riscontri si sarebbero dovute svolgere indagini
particolari. E’ con senno di poi, che, per il fatto che Tullio Olivetti
è il titolare del bar di via Fani, partendo da un’inchiesta in cui
tutti gli imputati sono stati assolti, basandosi solo sulle
dichiarazioni di un soggetto a dir poco non affidabile, e senza altri
riscontri oggettivi, si costruisce la figura di Olivetti quale complice
delle br.
La commissione parlamentare nella
prima relazione annuale afferma
La sua posizione
[Olivetti] sembrerebbe essere stata «preservata» dagli inquirenti,
tanto da fare ritenere necessario esplorare l’ipotesi che egli possa
avere agito per conto di apparati istituzionali ovvero avere prestato
collaborazione. CPM2,
1° Relazione, cit. , pag. 121
Presa dal suo furore accusatorio
la commissione si lascia andare ad un’altra considerazione, francamente
un po’surreale
Sempre con riguardo a
Tullio Olivetti, suscita interrogativi un’ulteriore vicenda. Agli atti
della Polizia di prevenzione risulta che Olivetti aveva alloggiato in
strutture ricettive bolognesi nei giorni precedenti la strage alla
stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Non
risulta mai emerso alcun elemento a carico di Olivetti in relazione
alla strage, ma è necessario approfondire se siano state comunicate
alla Questura titolare delle indagini le complete informazioni sul suo
conto e, in caso negativo, accertarne i motivi relazione. Ibid.
Evidentemente per la commissione
si sarebbe
dovuto indagare su ogni cittadino incensurato (tale è Olivetti)
presente a Bologna nei giorni precedenti la strage!!!
Del resto la commissione arriva a
smentirsi da
sola e se nella prima relazione del dicembre 2015 adombra la
possibilità che Olivetti sia stato preservato dalle indagini perché
appartenente ai servizi, nella seconda, di un anno successiva, segnala
senza batter ciglio, la presenza di un’informativa del maggio 1978 degli stessi servizi su Tullio Olivetti (2)
Tra la documentazione
acquisita è stata infatti individuato una nota del SISMI, trasmessa al
Comando generale dell’Arma dei carabinieri pochi giorni dopo il tragico
epilogo della vicenda Moro, il 30 maggio 1978.
È
pertanto necessario verificare se l’informazione trasmessa dal SISMI,
di sicuro rilevante (…), sia stata meglio approfondita e abbia formato
oggetto non solo di comunicazione, ma anche di specifiche indagini
disposte dall’Autorità giudiziaria seconda relazione. CPM2, 2° relazione, cit.
pag. 148
Quindi, nella prima
relazione erano i servizi ad
aver preservato dalle indagini dell’autorità giudiziaria le figura di
Olivetti, dodici mesi dopo, con una giravolta di 180 gradi, si afferma
che è l’autorità giudiziaria, in presenza di un’informativa del SISMI,
che non ha svolto le corrette indagini.